ROMANZI


I DODICI ABATI DI CHALLANT


AUTORE: Laura Mancinelli

ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1981

GENERE: Storico

CASA EDITRICE: Einaudi

Presentazione

Il romanzo non si può propriamente definire un romanzo storico. Infatti, nonostante sia data grande importanza alla descrizione del contesto storico, attraverso lo splendore delle sue corti, nella vita dei castelli, allietata da banchetti, cavalcate, dolci, intrattenimenti ad opera di cantori, musici e giullari, prevale l'aspetto narrativo del libro.

Trama

Nei primi capitoli vengono descritti i quattro personaggi principali del castello di Challant, situato in provincia di Aosta, che saranno sempre presenti durante tutto il corso della vicenda. Questi sono Venafro, Il Duca di Mantova, la Marchesa Isabella d'Aquitania e i dodici abati.
La presenza di un così alto numero di religiosi nel castello è dovuta ad una strana clausola del testamento che avrebbe affidato il castello di Challant al Duca di Mantova se l'erede si fosse mantenuto casto fino alla morte. I dodici Abati avevano, quindi, il compito di controllare se queste volontà venissero osservate!
Dopo questa breve introduzione l'autrice vengono narrate le bizzarre vicende che portarono alla morte dei dodici Abati:
Il primo a morire fu l'Abate Umido, ucciso da una qualche bevanda velenosa.
Qualche giorno dopo fece visita al castello un inventore di nome Enrico da Morazzone, che era un esperto di molle con le quali riusciva a costruire i più diversi arnesi. Le sue invenzioni lasciarono di stucco tutti i castellani e prima di andar via l'inventore riuscì a venderne una, una slitta a molla, a Venafro che la donò poi all'Abate Nevoso. Quest'ultimo decise di provarla subito, approfittando della neve caduta in abbondanza, ma perse il controllo del suo veicolo e finì per schiantarsi nel fiume.
Arrivò poi un filosofo: si trattava di un parigino accusato di eresia. Si fermò al castello per alcuni giorni, passando il suo tempo a discutere con Venafro ed altri castellani interessati alla sua scienza. Una sera predisse che anche il gancio più robusto si sarebbe rotto lasciando cadere la padella appesa ad esso. La previsione si realizzò, ma la padella ruppe il cranio dell'Abate Cleorio, uccidendolo. I servi, superstiziosi, diedero la colpa a delle presenze demoniache annidate nel camino. Per garantirsi le proprie cene, il Marchese ordinò che il camino venisse esorcizzato, consentendo ai servi di cucinare.
Questa operazione fu svolta da una Saggia Pretessa, che in cambio del suo lavoro chiese alla Marchesa ospitalità per due suoi protetti: Goffredo, medico di Salerno, ed un bambino di nome Cicco.
La morte tornò ben preso a visitare il castello, uccidendo altri due Abati: Foscolo ed Ipocondrio.
Foscolo ebbe la sfortuna di trovarsi in mezzo ad una lite d'amore fra una donna del palazzo, Maravì, e Goffredo. Durante la lite la donna aveva lanciato un pezzo degli scacchi (di grosse dimensioni), più precisamente la torre, che volando fuori dalla finestra aveva centrato Foscolo, uccidendolo.
Ipocondrio morì cadendo dalle mura mentre rincorreva il piccolo Cicco, accusato di suonare "musica profana" col suo flauto.
Pochi giorni dopo, comparve al castello un Trovatore che tentò di corteggiare la Marchesa un po' troppo vivacemente e per questo fu cacciato dal Duca, geloso della bella Isabella. Lo stesso giorno l'Abate Mistral, anch'egli innamorato della Marchesa, decise di andarsene dal castello di sua spontanea volontà avendo saputo dell'avventura fra il trovatore e la sua amata.
Il successivo visitatore del castello fu un Mercante Veneziano, carico di favolosi prodotti e che si era auto-esiliato dalla sua città per sfuggire all'epidemia di onfalotopia(si trattava di una contagiosa malattia che provocava la caduta dell' ombelico).
La successiva serie di decessi si consumò durante la Primavera. Il più singolare di questi fu quello dell'Abate Prudenzio che morì schiacciato da un marchingegno da lui stesso inventato a salvaguardia della propria virtù. Si trattava di una grata che isolava completamente camera sua dal resto del castello. Mentre fuggiva da una libidinosa castellana, l'Abate calcolò male le distanze ed all'atto di tirate la leva, la grata lo schiacciò.
Il giorno seguente arrivò al castello un Astrologo che, in modo molto poco cordiale, predisse alla Marchesa che il suo bel castello sarebbe stato vittima di una disgrazia tra non molto tempo. L'Abate Santoro approfittò della presenza del luminare per farsi consigliare circa il suo proposito di convertire la viziosa Marchesa alla religione cattolica. L'Astrologo invitò l'Abate ad osservare una certa stella, che gli avrebbe fornito tale risposta. Santoro prese a camminare scrutando il cielo con un binocolo e ben presto precipitò.
Qualche giorno più tardi l'Abate Malbrumo si ammalò ai lombi. La medicina del tempo individuò la cura di tale male in un corretto esercizio dei lombi nell'attività sessuale. L'Abate si sottopose di buon grado alla cura, ma non passo molto che finì per abusarne e quindi spirò serenamente nel suo letto. Giunto a questo punto, l'unico Abate superstite, Ildebrando, arrivò alla sua drastica conclusione. Il castello era infestato dai demoni e per tale motivo doveva essere cancellato dalla faccia della terra tramite il fuoco purificatore. Il caso volle che nell'incendio da lui stesso appiccato, Ildebrando fu l'unico dei castellani a perire.

Personaggi

La marchesa Isabella d'Aquitania, bellissima e spregiudicata segue le sue passioni fino ad oltrepassare i limiti imposti dall'amor cortese. Ella ama circondarsi di gente di cultura impegnata nei più vari rami del sapere e diventa l'oggetto del desiderio di gran parte dei castellani, creando così un intreccio di gelosie e avventure. Al termine della vicenda viene identificata dal più intransigente degli abati come la causa delle stragi avvenute nel castello.

Il duca di Franchino di Mantova era biondo, esile, con gli occhi azzurri e sempre innamorato, anche se non sapeva amare. Firmando l'accettazione di un testamento si condanna però alla castità, in quanto essa era una delle clausole, e a essere sorvegliato a vista da dodici abati che la dovevano garantire.

Venafro aveva capelli neri e corti, i baffi neri e gli occhi neri. Nessuno sapeva nulla di lui, nemmeno da dove venisse. Si dimostrerà sempre estremamente fedele alla Marchesa con la quale condivideva l'interesse per la cultura.

L Abate Umidio, la sera si ritirava sempre nella sua stanza, in cima alla torre, per compilare il suo erbario. Cercando di alleviare le sue sofferenze, causate dall'età e dalle fredde mura del castello, con delle erbe, morirà per il loro eccessivo uso.

L'Abate Nevoso era giovane e assai robusto, ma pigro e amante della comodità. Comodità che lo porterà a "schiantarsi" in fondo ad un fiume.

Enrico di Morrazzone era un inventore alto e magro; giunge al castello su di un carro montato su una slitta e tirato da due cavalli per vendere i suoi manufatti. Uno di questi, la slitta a molla, sarà causa della morte dell'abate Nevoso.

L'Abate Torchiato, minuto e zoppicante, non perdeva occasione per redarguire la marchesa sui suoi facili costumi. Morirà durante una festa al castello, per aver mangiato e bevuto troppo.

Il Filosofo. Laureato alla Sorbona di Parigi, viene scacciato dalla sua città accusato d'eresia, poiché con il suo pensiero, aveva, in un certo qual modo, dato come altresì valida la dottrina di Maometto.

L'Abate Cleorio, un vecchietto malato e freddo, perennemente alla ricerca del caldo del camino, morirà schiacciato dalla padella dei Challant che si trovava appesa vicino al camino della cucina.

Il Mercante di Venezia era un uomo colto, di buone maniere, capace di vendere con astuzia la propria merce.

L'Abate Mistral se n'andrà dal castello innamorato della marchesa.

L'Abate Leonzio era noto al castello per la sua propensione per le donne.

Giudizio

Analizzando il linguaggio usato dall'autrice per il suo romanzo, si può notare che l'autrice fa largo uso di vocaboli risalenti al linguaggio duecentesco. Altra caratteristica interessante è la duttilità del linguaggio: la capacità cioè di variare a seconda della classe sociale cui appartiene colui che parla (servo, mercante ecc.); tale scelta permette anche una più immediata resa della mentalità di uno specifico personaggi, mentre nelle descrizioni dei paesaggi e dei sentimenti è frequente l'uso di metafore e paragoni.
L'ironia è a mio avviso la caratteristica che caratterizza maggiormente l'opera. Le descrizioni dei singoli personaggi e delle loro morti (per quanto riguarda gli abati) sono propriamente ironiche e tendono quindi a mettere in ridicolo ognuno di loro.
La vicenda ci viene trasmessa attraverso il punto di vista del narratore onnisciente.
Del libro mi è piaciuto molto soprattutto la storia, che giudico abbastanza buffa per la metodologia delle morti degli abati.

Autore

Stefano Porro